Pubblicato in: Festa nazionale del libro 1927, (Supplemento al Secolo Illustrato), numero unico, p. 7
Data: 8-15 maggio 1927
pag.7
Molti scrittori di libri adoprano di tanto in tanto l'aggettivo «libresco» con intenzione di condanna. Vorrei sapere quanti di loro saprebbero fare a meno di libri, sia per vivere che per scrivere. Un libro, in apparenza, è un pacco di fogli insudiciati da righe di segni neri, ma in verità, quand'è grande o soltanto buono, è il succo vivo d'uno spirito vivente, un getto di vita vera che sopravvive alla morte di chi l'espresse. Ed è, spesso, il fiore di quella vita: il meglio che poteva dare la colata che vien dal fuoco sublimante del genio. Ogni libro è una creatura che può sembrar frigida soltanto a quelli che non hanno amore e potere sufficienti a risvegliarla.
Aristotele diceva che per sopportar la solitudine perfetta ci vuole un bruto o un Dio. Si potrebbe dire egualmente che senza libri posson vivere soltanto le bestie o i santi. E anche i santi, a pensarci bene, non posson fare a meno d'un libro - di quello che si chiama appunto Libro e non può avere altro titolo perchè il nome del suo «dettatore» è inaffidabile. Per colui che ha ingrandito la propia vita riducendola a un dialogo tra l'io e Dio, quell'unico libro è bastante. C'è tutto: anche quello che ancora gli occhi degli uomini non hanno visto. «Quando voglio saper l'ultime notizie - diceva Bloy - leggo l'Apocalisse».
A me, troppo lontano dalla santità, mi par sempre di non aver abbastanza libri. A me troppo sciupato per esser non bestia, piace molto più la conversazione dei morti che quella dei vivi.
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